- Mi ami?
- Ma sì, ti amo - rispondeva lui.
- Molto?
- Certo!
- Non ne hai amate altre, dimmi?
- Ma credi di avermi preso vergine? – rispondeva lui ridendo.
Emma piangeva ed egli si sforzava di consolarla infiorando con qualche freddura le sue proteste d’amore.
- Oh! E’ perché ti amo! – ripeteva lei. – Ti amo fino a non poter più fare a meno di te, sai? Qualche volta mi prende un tale desiderio di vederti, che mi sento straziare da tutte le furie dell’amore. Mi domando: <>. Oh! No, vero? Non ti piace nessuna? Ce ne sono di più belle, ma io, io so amare meglio! Sono la tua serva e la tua concubina! Tu sei il mio re, il mio idolo! Sei buono! sei bello! sei intelligente ! sei forte!
Egli aveva sentito dire tante volte quelle cose, che ora non vi trovava più nulla di originale. Emma somigliava a tutte le altre amanti, e il fascino della novità, cadendo poco a poco come un vestito, lasciava vedere a nudo l’eterna monotonia della passione, che ha sempre le stesse forme e lo stesso linguaggio. Non distingueva, quell’uomo tanto pratico, la diversità dei sentimenti sotto l’eguaglianza delle espressioni. Poiché labbra libertine o venali gli avevano mormorato frasi simili, credeva assai poco al candore di quelle di Emma. Non bisognava dar troppo peso, pensava, ai discorsi esaltati che nascondono gli affetti mediocri: come se la pienezza dell’anima non traboccasse talvolta con le più vuote metafore, perché nessuno mai sa dare l’esatta misura dei propri desideri, dei propri concetti, dei propri dolori, e la parola umana è come una caldaia di rame spaccato, su cui suoniamo melodie buone a far ballare gli orsi, mentre vorremmo intenerire le stelle.
(tratto da "Madame Bovary" di Flaubert)