giovedì 2 aprile 2009

L'UOMO AMA ED ONORA L'UOMO FINCHE'...

Nulla c'è di più strano e di più fragile del rapporto tra uomini che si conoscano solo con gli occhi, che ogni giorno, persino ogni ora, s'incontrino, s'osservino, costretti, per etichetta o per capriccio personale, a conservare, senza salutarsi e neppure parlarsi, l'apparenza d'indifferente freddezza. Tra loro c'è inquietudine e curiosità sovreccitata, l'isterismo di un bisogno insoddisfatto, innaturalmente represso, di conoscenza ed espansività, e in particolare anche una specie di tensione rispettosa. Perché l'uomo ama ed onora l'uomo, finché non sia in grado di giudicarlo, e il desiderio è un prodotto di conoscenza imperfetta.
Un rapporto qualsiasi di conoscenza doveva necessariamente formarsi tra Aschenbach e il giovane Tazio, con gioia intensa l'anziano poté rilevare che interessamento ed attenzione non restavano del tutto incorrisposti. Che cosa, per esempio, aveva indotto il bello, quando la mattina faceva la sua comparsa sulla spiaggia, a camminare pian piano verso la capanna dei suoi, non più per l'assito dietro le cabine, ma esclusivamente per quello anteriore, attraverso la sabbia, accanto al posto di Aschenbach, e talvolta, senza necessità, vicinissimo a lui, sfiorando quasi la sua sedia e il suo tavolino? Su quell'oggetto fine e spensierato agiva davvero tanto l'attrazione, il fascino d'un sentimento superiore? Aschenbach aspettava ogni giorno la comparsa di Tazio e a volte, fingeva d'essere occupato, quando avveniva, e lasciava passare il bello apparentemente inosservato. Altre volte invece alzava gli occhi, e i loro sguardi s'incontravano. Posatissimi entrambi in quel momento. L'espressione colta e dignitosa del più anziano non tradiva nulla di un'ansia interiore, ma negli occhi di Tazio c'era un che di scrutante, un interrogare pensieroso, camminava indeciso, guardava a terra per sollevare poi, dolce, lo sguardo e, dopo esser passato, qualcosa nel suo portamento esprimeva che solo l'educazione gl'impediva di voltarsi.Tuttavia una volta, una sera, fu diverso.
I fraterni polacchi e la loro governante avevano disertato la cena nel salone. Aschenbach se n'era accorto con apprensione. Dopo cena, molto irrequieto non sapendo dove fossero, stava passeggiando, in abito da sera e cappello di paglia, davanti all'albergo, ai piedi della terrazza, quando d'improvviso vide spuntare, alla luce dei lampioni, le sorelle simili a suore con l'istitutrice e, a quattro passi dietro di loro, Tazio. Evidentemente venivano dal pontile dei vaporetti, dopo aver cenato, chissà per qual motivo, in città. Sull'acqua doveva aver fatto fresco; Tazio portava un giaccone blu alla marinara con bottoni d'oro e in testa il relativo berretto. Sole e aria non l'avevano bruciato, la pelle gli era rimasta giallino marmorea, come al principio; eppure quella sera sembrava più pallido del solito, fosse a causa del fresco o dello smorto chiarore lunare delle lampade. I sopraccigli proporzionati si disegnavano più nettamente, gli occhi s'eran fatti d'uno scuro profondo. Più bello di quanto sia possibile descrivere, e Aschenbach sentì, come già molte altre volte, con dolore che la parola riesce solo a esaltarla la bellezza sensuale, ma non a ritrarla.
Un brano tratto da MORTE A VENEZIA di Thomas MANN

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